“DinoCampana Dispert”: invito alla lettura de “La notte della cometa” di Sebastiano Vassalli

(Zebra48bo, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons)

Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio. (da Pampa) 

Oggi, il venti di Agosto, scoccano i centotrenta anni dalla nascita di Dino Campana. Tra sei giorni sarà passato un mese dalla dipartita di Sebastiano Vassalli.
Come certo saprete, i due sono legati dal romanzo-inchiesta del secondo sul primo,
La notte della cometa. (Nuova edizione con il racconto “Natale a Marradi”, Einaudi, 2010). Mi è capitato di leggerlo e terminarlo proprio 3 giorni fa, avvicinandomi all’anniversario del tutto casualmente. La lettura era invece premeditata e niente affatto figlia del “turismo letterario post mortem” (che comunque ben venga, essendo sempre meglio dell’oblio): ho regalato un po’ interessatamente il libro alla mia metà per le festività natalizie, e ho aspettato che lo terminasse per leggerlo a mia volta.

Voglio parteciparvi, con questo breve post, il senso di autentica riscoperta della scrittura campaniana che ho sperimentato grazie alla lettura di questo libro; il primo che sento come veramente propedeutico nell’avvicinamento a un poeta; quando invece, quasi sempre, caldeggio piuttosto la presa di conoscenza immediata dei versi, senza il filtro di prefazioni introduzioni o apparati.
Oltre all’ottimo stile e alla verve (gustosissime per es. le pagine-resoconto sul passaggio della cometa, alle pp. 133-135), oltre all’ampiezza delle fonti e alle perle di saggezza introspettiva qua e là dispensate, credo che il merito principale di Vassalli sia stato quello di saper proporre al lettore la prosa poetica del Nostro “a piccole dosi” sciolte lungo il testo, in lacerti; scalfendo la consistenza spesso monolitica dei Canti orfici o del restante materiale in favore di squarci di puro nitore. E inserendoli attivamente entro la cornice narrativa: a volte affiancandola fedelmente, altre volte trasponendoli in un contesto diverso ma che l’interprete Vassalli avverte come affine. Come esempio del primo caso, a p. 109, il brano che ho posto in esergo a questo articolo; come esempio invece di trasposizione, il passo in francese del vecchio cavaliere milanese (Stia, 20 settembre), utilizzato a p. 129 per descrivere il progressivo sfociare in indifferenza dell’astio tra Dino e la madre Fanny: Comme deux ennemis rompus/ Que leur haine ne soutient plus/ Et qui laissent tomber leurs armes!
Con questa interpretazione “storico-evolutiva” dei Canti orfici ma anche degli scritti inediti, Campana ritrova freschezza e il romanzo di Vassalli acquista profondità e colore. 

Anche se ho appena citato tre versi in francese, ho parlato intenzionalmente solo di prosa poetica perché tra questa e la poesia disposta in versi, in Campana, secondo me, c’è un abisso qualitativo a favore della prima*; ed è curioso come poco innanzi al definitivo internamento il poeta inveisca contro Rimbaud (p. 186), quando invece salta all’occhio la felice affinità tra il meglio dei Canti e Les illuminations.

Naturalmente non va tralasciata la portata “investigativa” del libro, emotivamente tutto proteso a smontare la versione ancora oggi prevalente (soprattutto perché più comoda) del “poeta pazzo” (Papini) rappresentando invece una persona integra dal forte carattere e dalla corrosiva capacità di giudizio, ma altrettanto fortemente vessata – piagata e piegata – dal proprio ambiente familiare e paesano; dall’asprezza della propria strada di vocazione ed elezione (l’impraticabilità dell’autosufficienza come poeta gli è sempre presente in mente, anche negli anni di internamento); dal non volersi affatto frenare nei suoi (notevoli) giudizi taglienti dunque adeguare al metodo carrieristico dell’ossequio letterario, nonché probabilmente e soprattutto da una vera e propria malattia organica (il “mal francese”) che sarebbe la vera responsabile prima del suo declino cognitivo e poi del decesso. In realtà la sbandierata etichetta di “poeta pazzo” forse si risolve tutta nel virgolettato di p. 118:

«Io faccio l’orso, lo strambo, solo con quelli che non hanno gli elementi di sensibilità per cui ci si possa intendere: per il bisogno di sfuggire a dei fastidiosissimi… titillamenti». «Sono solamente un po’ primitivo. Ma torneremo di moda anche noi, ci ho questa speranza».

Si consideri, a sostegno della tesi, che “val la pena di notare come nel crepuscolo della ragione di Dino Campana – iniziatosi appunto nell’autunno del 1915 – la prima cosa che si spegne sia la poesia. Cui, evidentemente, gli squilibri mentali non giovano…” (p. 83). Siamo dunque agli antipodi del cliché: poeta non pazzo ma schiantato (e abbastanza sfortunato in certi snodi dell’esistenza).

Aggiungerei, volendo dire la mia: poeta in pieno disturbo post-traumatico da impossibilità di vivere del proprio lavoro intellettuale. Molti, come ripeto, sono infatti i passi in cui Dino sembra lucidamente consapevole di non poter più avere spazio nella società, adagiandosi con calma fronte e quasi felicità nella sua condizione di non autonomia e irresponsabilità (pp. 117-118) e poi persino manicomiale (pp. 224-225). In questo senso l’esistenza di Campana è parossistica ma quasi paradigmatica di tante vite “normali” intellettuali cui è stato tolto il significato non solo della realizzazione lavorativa ma prima ancora del riconoscimento dell’importanza proprio lavoro. Ciò in un’epoca diversa, quella odierna, in cui per vari motivi lo stress post-traumatico è ormai così endemico da non poter essere nemmeno più considerato, ad avviso di chi scrive, un disturbo psicopatologico ma una categoria antropologica.

Questo solamente al livello della personalità. Ma ciò che, si legge, ha irritato di più la famiglia e i trovieri ufficiali è stata l’imputazione della “lue”. Ci sono stati, da parte di Vassalli, ben quattordici anni – curiosamente lo stesso numero di quanti Campana ne ha passati in manicomio – di ricerche serrate, devote; e probabilmente la tesi espressa nel libro coglie nel segno, o ci si avvicina di parecchio.

Bella e triste è l’appendice alla seconda edizione del libro: Natale a Marradi, in cui si dà contezza delle resistenze, prima alla stesura e poi alla fortuna del libro di Vassalli. Bugie, depistaggi, ricerca di cavilli argomentativi, minacce di querela poi scemati in veline alle redazioni dei giornali, processi verbali sommari. A uno di questi ultimi prese parte una persona che conosco, alla cui «rivistina» l’Autore augura il decesso (ebbene, è mancato Vassalli e la rivista è viva e sembrerebbe pure vegeta: c’est la vie). Prima di tacciare di (indubbia) ineleganza l’anatema, bisogna tentare d’immedesimarsi nelle emozioni di chi pensa di dare un contributo importante, e soprattutto un contributo nell’interesse generale, alla verità storica su un personaggio capitale, e invece si vede avversato da un’eterogenea compagnia di nominate o più probabilmente autonominate “Vestali di Campana”. Tutto ciò, sospetto, in nome dell’Itala, sempiterna idiosincrasia verso chi si pone in posizione critica dello staus quo.

Un libro assolutamente necessario. Il sottoscritto continua, forse contro l’opinione comune, a ritenere che Campana sia certo “poeta autentico” e schietto, ma non tra i grandissimi. L’enfasi del passaggio della cometa di Halley, come a dire – anzi dicendo espressamente – che “il prossimo Campana sarà tra 76 anni”**, è un gusto autoriale che rispetto ma non condivido; così come eccessivo e verosimilmente dettato da partecipazione emotiva mi pare il risentito vaticinio per cui presto non ci si ricorderà più dei vari Papini Soffici etc.; essi meritano la fama, seppure davvero esecrabili, lungo questa storia, per la loro supponenza stizza e ripicca verso il – non certo diplomatico – Nostro.
Comunque la si pensi, l’opera di Vassalli ci permette di entrare a fondo non solo nelle nervature del caleidoscopico personaggio ma anche nelle cellule della sua scrittura; cellule che, quasi globuli rossi del “sangue del fanciullo”, si riossigenano se elargite a piccole dosi.


* che siate o meno d’accordo con me, prendete posizione! Ecco il testo integrale dei Canti orfici
** considerata l’età di Campana al passaggio della cometa, nell’aprile-maggio 1910, dovremmo pensare a un poeta nato non, come fa Vassalli, nel 1986, ma piuttosto nell’ottobre-novembre 1970; anche stavolta ci sono andato “miseramente vicino”
(cit.).